Misura diretta dell’adiposità, indispensabile per valutare il rischio metabolico

Meglio la composizione corporea
plicometria

L’evidenza è “nostrana” e avverte sul corretto utilizzo degli indicatori antropometrici per la valutzione del rischio metabolico legato ad un’eccesso di grasso corporeo.

Lo studio

Un recente studio, condotto su un campione di quasi 4500 individui del centro-sud Italia ha infatti rivelato una corrispondenza decisamente scarsa tra le categorie di salute definite in base ai valori dell’indice di massa corporea (BMI) e a quelli derivanti dall’analisi della composizione corporea.

La misura diretta dell’adisposità corporea, eseguibile mediante la tecnica di Dual X-ray Absorptiometry (DXA) o attraverso biompedenziometria, fornisce preziose informazioni cliniche – quali massa grassa totale e massa magra e percentuale di grasso corporeo – non altrimenti estraibili dal calcolo del BMI.

Del resto, non tutto il grasso corporeo è deleterio in misura uguale. L’accumulo adiposo addominale, ad esempio, costituisce la forma più pericolosa di obesità e rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo del diabete.

Diversamente, i depositi adiposi situati intorno ai fianchi e a livello gluteo-femorale non costituiscono una minaccia simile per la salute e, addirittura, sembrano garantire una moderata protezione contro la perdita di matrice ossea che si verifica nelle donne di età avanzata. La distribuzione regionale del grasso corporeo riveste dunque una valenza per nulla triviale nella valutazione dei soggetti a rischio.

Detto questo, risulta ovvio che la valutazione del rischio metabolico non può basarsi sulla semplice interpretazione di un parametro aspecifico quale il BMI.

Inoltre, è opinione condivisa il fatto che i valori di cut-off del BMI, stabiliti dagli organismi sanitari internazionali, non sono applicabili con eguale validità nelle varie categorie di pazienti e nei differenti gruppi etnici.

Tornando allo studio, secondo la misurazione dell’adisposità eseguita mediante DXA sono risultati “a rischio” il 69 % e l’85 % rispettivamente degli individui di sesso maschile e femminile analizzati. Tuttavia, la congruenza tra le categorie di BMI e di adiposità DXA risultava scarsa nella popolazione maschile e ancora più debole in quella femminile. In particolare, la classificazione di falsi negativi, secondo i valori di BMI, era più frequente nelle donne rispetto agli uomini nelle diverse fasce di età. Questo dato potrebbe riflettere l’omissione delle situazioni di eccessivo accumulo adiposo addominale, interpretate erroneamente come grasso corporeo omogeneamente distribuito.

Significato clinico

Per evitare questi, ed altri, errori di mis-classificazione dei pazienti e per riconoscere con maggiore sicurezza le situazioni potenzialmente a rischio cardio-metabolico, si ritiene più affidabile il riferimento alla misura diretta della percentuale di grasso corporeo.

Bibliografia :
Fonti :

mar 6 dicembre 2011
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