BMI da solo non basta


L’indice di massa corporeo (BMI) non è un parametro attendibile su cui basare la diagnosi dell’obesità. Più precisa è invece l’analisi della composizione corporea, meglio se affiancata dalla misura della concentrazione plasmatica dell’ormone leptina.
Questa la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori della New York University School of Medicine, i quali hanno riscontrato una forte discordanza tra la capacità predittiva delle due misure antropometriche e della loro correlazione con le concentrazioni a digiuno di leptina, un ormone rilasciato dal tessuto adiposo coinvolto in numerosi aspetti del comportamento alimentare, i cui livelli sono significativamente alterati nel sovrappeso.
Nello studio, la classificazione BMI stabiliva una diagnosi di obesità per il 26% dei partecipanti. Diversamente, lo studio della composizione corporea classificava come obesi una percentuale quasi tripla di soggetti, il 64%. Circa il 39% dei soggetti definiti non-obesi in base al BMI risultavano invece obesi secondo la classificazione DXA.
Globalmente, il calcolo del BMI determinava una mis-classificazione del 25% e 48% degli uomini e delle donne rispettivamente. Inoltre, i ricercatori hanno osservato un forte correlazione tra la concentrazione di leptina a digiuno e la percentuale di grasso corporeo stimato con a tecnica DXA.
In sostanza, la classificazione basata sul valore dell’indice di massa corporea determinava una percentuale significativa di falsi negativi, dimostrando la scarsa attendibilità delle soglie diagnostiche sesso-specifiche su esso modellate.
Nella pratica clinica, questa situazione si traduce nella sistematica omissione della reale prevalenza dell’obesità. Gli autori hanno quindi avvertito sulla necessità di ricorrere all’analisi di biomarker, come la concentrazione di leptina, quando la valutazione dei pazienti è basata esclusivamente sul calcolo dell’indice BMI, specialmente quando non sono disponibili valutazioni radiografiche del contenuto di adiposità corporea.



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